Una primavera fredda

La primavera si aspetta che le dedichi altre belle parole, come un anno fa. Non capisce che dovrebbe fare anche lei la sua parte. Ieri, ad esempio, ero in un posto incantevole: una villa in legno, con un camino di pietra al centro della stanza; una parete occupata interamente da una vetrata dava su un ampio giardino verde. Era l’occasione adatta perché la primavera ispirasse poesie. Invece no. Pioveva e il vento non si è calmato un attimo. Non si calma da un po’ in realtà. 
Anche il freddo però, un po’ di anni fa, faceva venir voglia di scrivere qualcosa.
Ho ripescato altre vecchie parole. Mi ricordano una ferita che ha smesso di bruciare, ma una storia che come una cicatrice, continuo comunque a portarmi sulla pelle.

L’assenza di certe persone cambia la percezione di tutto. Il freddo, ad esempio, oggi non mi piace per niente. Mi piaceva, invece, quando rappresentava la scusa perfetta per chiederti un abbraccio, quando era il motivo per cui si assumevano posizioni strane, contorte, per stare più vicini, per non far passare l’aria gelida tra i corpi. Mi piaceva quando arrossava i visi e appannavi i vetri, o quando costringeva le dita ad intrecciarsi per calmare i tremori. Mi piaceva quando c’eri. Freddo lì voleva dire tenerezza, dolcezza; oggi il freddo è un’altra cosa… è solo freddo, in pratica.

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