Strano rapporto con la felicità

Io l’ho conosciuta la felicità. Aveva gli occhi scuri e le mani grandi di chi con le carezze riesce a colmare certi vuoti. Sapeva leggere tra le righe di notti passate a nascondere i segreti dentro le poesie. Si nutriva di abbracci e sguardi divertiti, dei gesti lenti con cui mi insegnava a conservare i bei ricordi nelle tasche dei giubbotti. L’ho conosciuta la felicità ed è stata la fonte di tanto coraggio. Ancora ne ricordo il profumo, volendo potrei tracciarne a memoria il profilo, riconoscerei senza sforzo alcuno la sua ombra che imponente si staglia nel buio. Lei non lo sa ma ci sono notti in cui sogno che ancora la stringo, e ci sono giorni, da quando non c’è, che io neanche mi riconosco. Me lo ricordo com’era svegliarsi e sentirsi nel posto giusto, temere il futuro ma sapere che il presente sarebbe valso qualunque pianto, contemplare prima di dormire un altro giorno passato a godere del modo perfetto in cui certi sogni si incastrano.

Un po’ la odi la felicità quando l’hai stretta inutilmente tanto da sentire dolore alla dita. Brucia la gola trattenere domande come “cos’è che t’ho fatto? dove ho sbagliato? ma è colpa mia tutto questo silenzio?”. Fa addirittura male agli occhi guardarla da lontano. Eppure ancora oggi sento di doverle molto. Riparto dalle gambe a pezzi e ancora le vado incontro. Non mi ci abituo all’apatia che ogni giorno mi fa confondere l’alba e il tramonto.

palloncini

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