Prima di andare via, ti giri su un fianco e mi chiedi: –Se avessimo ancora un po’ di tempo, come lo passeresti?
–Credo che ti racconterei una storia.
–Come si fa con i bambini? Domandi divertito.
–Beh, ovvio. Pensaci: quand’è che ai bambini si raccontano le storie?
–Mmmm… prima di dormire?
–E perché secondo te?
–Per farli dormire, no?
–No, non solo per farli dormire.
–E allora perché?
–Perché prima di dormire bisogna spegnere le luci, e i bambini hanno paura del buio. Gli si raccontano le storie perché se un bambino si convince che un uomo da solo ha sconfitto un drago, allora non avrà più dubbi: lui da solo può affrontare il buio.
–Ma io non ho paura del buio…
–Hai un sacco di paure, però.
Qualche secondo di silenzio.
–E che storia vuoi raccontarmi per farmele passare?
Ci penso un po’, poi esordisco: –C’erano una volta tanti capelli…
La tua risata mi interrompe.
–Come “tanti capelli”?! Quale favola inizia con “tanti capelli”?!
–Vuoi ascoltare o no?
–Ma non è romantica! Le storie sono romantiche!
–Vuoi darmi lezioni di romanticismo? Tu? A me?
Alzi entrambe le mani in segno di resa.
–Va bene, continua…
–C’erano una volta tanti capelli, e una mano che disegnava cerchi tra le ciocche, e si perdeva sulla nuca, scivolava sul collo, risaliva sfiorando le labbra, fino alle palpebre socchiuse su un viso spaventato che aspettava certezze. C’era una volta quella mano, che scioglieva i nodi tra i tanti capelli e sperava di risolvere anche quelli dentro la testa.
–Non ho i nodi tra i capelli! Mi interrompi di nuovo.
Sbuffo.
–Lasciami le mie metafore! Ho la licenza poetica!
–Sei bella con le tue metafore.
Ci guardiamo un attimo. Sorridi ancora. Vorrei baciarti, penso, ma dovrei chiudere gli occhi, e tu stai sorridendo. Non voglio chiudere gli occhi mentre sorridi. Non voglio perdermi neanche un secondo di tutto quello che ti si legge in volto quando lo fai. Si spalanca un mondo dietro le tue ciglia nere. Il modo in cui muovi i muscoli del viso, ispira tutte le mie poesie.
Ti tiri su ma hai l’aria di chi non vuole andare. “Devo” dici, e neanche hai fatto un passo, che io già ti immagino rimpiccolire. Chissà dopo quanti passi, smetti di avere voglia di tornare indietro. Chissà quanti metri bastano perché tu ti senta abbastanza lontano da tutto questo.
-Ripensa alla mia mano che scioglie i nodi, ogni volta che avrai paura. Magari, un giorno, ti racconto il finale della storia.